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Cose in CITTA''' 

editoriale

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Gli editoriali

Editoriale
giugno 2025

Se Fotografando ​"sezione società" resident page

Approfitto dell'occasione, quella della condivisione di uno dei miei ultimi lavori sul digitale, per esprimere sia una breve riflessione sul suo contenuto che ribadire il mio punto di vista sull'aspetto della spiritualità che non ha nulla a che vedere con le religioni, le cui organizzazioni oggi sono tornate a ricoprire un ruolo primario nelle società anche occidentali, in funzione dell'evoluzione degli eventi, delle crisi delle democrazie, nei tratti di pensiero dei gruppi dirigenti che hanno assunto la gestione del potere. Ne avevo già parlato nei miei scritti, oggi quello che ieri era in itinere è diventato preponderante, direi stringente. 
Qui invece voglio parlare, brevemente, del lavoro digitale che vedete sopra, un modo di esprimere il mio punto di vista, la mia posizione, il mio pensiero. Il mio dolore.
Pur nella chiarezza del riferimento geografico nonchè storico-contemporaneo, non voglio identificare il luogo, un chiaro scenario di distruzione, dove trova residenza la morte dell'anima e della materia. La fame e il suo utilizzo come strumento di guerra, la fame come prodotto dell'evoluzione (in senso temporale in avanti, involuzione come risultato) del vivere nel tempo. I luoghi e le vite non solo corporali ma anche di comunità distrutte. La migrazione verso luoghi dove intanto tentare di preservare la vita. E in primo piano i bambini, con il loro smarrimento, con il loro volto disincantato con le pentole in mano, il simbolo della necessità e il senso dell'orrore. In alto la figura del Cristo ha il senso della concretizzazione del dolore, della corona di spine che spingendo provoca dolore. E' il senso non di una presenza di ciò che è oltre, ma della condivisione delle esperienze di estremo dolore che ci portano alla più immediata riflessione di come le costruzioni dell'uomo, quelle del pensiero, del concetto di spirito, ma anche delle costruzioni sociali, portano spesso a far emergere la parte buia dell'animo umano. Guardateli insieme, l'innocenza che risiede negli animi infanti e l'innocenza dell'uomo che predicava pace, amore e condivisione. Il suo guardare in alto non è invocazione al cielo, è invece la forza del dolore che prevale chiudendone gli occhi, nel provare la disperazione che il male produce. C'è però la forza della speranza che si concretizza nello spazio che ho voluto lasciare libero, quella di una via non occlusa in cui avrei potuto mettere, fornendo un elemento di riferimento, un cesto di pane e di pesci. Ho lasciato libero lo spazio in cui ciascuno può immaginare una propria via di integrazione, una soluzione, una strada aperta non ad una interpretazione, non ad un unico scenario, ma libera di accogliere anche in modo non concomitante, ma conseguente, le vie dell'abbandono del male. Quello dei pani e dei pesci è in fin dei conti il simbolo di un intervento miracoloso che io interpreto diversamente, cioè come capacità della forza della parola in grado di riaffermare, giorno dopo giorno, momento dopo momento, la natura votata alla relazione della condizione umana, nella non prevalenza della forza, ma della forza a supporto dell'aiuto. Quei pani e pesci che furono narrati, possiamo pensarli come frutto della condivisione di ciò che era già nelle disponibilità degli umani che, nel contesto sociale e territoriale del tempo vissuto, recependo il messaggio di amore basato sull'aiuto fraterno, ha mosso le sensibilità, facendo in modo che ciò che ciascuno teneva protetto nel proprio granaio, diventasse bene a disposizione anche di chi non aveva. In questo senso il miracolo non è nell'intervento di un qualcosa fuori dalla nostra dimensione umana, ma parte dalla dimensione umana facendo prevalere ciò che dentro di noi è connesso con la nostra natura che ha origine nel cielo: la nostra intelligenza, il nostro cuore, che indissolubilmente legano terra e cielo, materialità e spirito. 
Ecco perchè il senso della presenza silente del Cristo è quella non solo di ricordare il dolore, non solo di considerare la tragicità degli eventi che gli uomini posso realizzare, ma soprattutto quella di contrapporre ancora una volta, le due logiche che accompagnano e accompagneranno sempre l'umanità in lotta tra gli opposti: la logica della distruzione non solo materiale ma anche dello spirito, contro la logica della soluzione, della costruzione, del bene diffuso e condiviso. Che parte dalla parola, quella in grado di mettere sempre al centro dell'attenzione le qualità intrinseche dell'umanità che dovrebbero sempre essere prevalenti rispetto alle costruzioni sociali in cui restano imbrigliate. Un messaggio universale, ben oltre il concetto di bene e di male che le società hanno confezionato nel tempo.
Una riflessione la mia che proseguirà, poichè tanto c'è nel senso del recupero della via aperta nelle origini degli eventi, troppo il dolore prodotto nel corso dei secoli che produce macerie che continuano ancora oggi a seppellire il senso di umanità che è proprio dell'umano.
Quella eco del dolore che promana da una croce che travalica i confini tra terra e cielo e ancor oggi è  monito per gli umani a non violentare ciò che nell'umano ha origini nel divino. La testimonianza dell'immensità del dolore che si può provocare, che il cielo non dimentica.

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