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Il primo giorno della mia vita

Aggiornamento: 6 nov 2023

















Il primo giorno della mia vita

Continua il viaggio nel cinema d'autore, con un film particolare nell'utilizzo della finzione cinematografica come mezzo per veicolare il o i messaggi contenuti nel racconto.

Naturalmente l'interpretazione è personale, cioè esula dall'effettivo obiettivo dell'autore, ma d'altra parte ogni lavoro che ha per oggetto la comunicazione sconta necessariamente una fase personale di rielaborazione da parte del fruitore.

Entro subito nel merito delle sensazioni e del percepito del film per dire prioritariamente che lo stratagemma narrativo, se così vogliamo chiamarlo, su cui si basa il racconto ci porta necessariamente a percorrere la narrazione fino in fondo, alla fine, dove possiamo riavvolgere insieme non in un unico, ma in più punti i messaggi veicolati ed il senso della storia.

E' un film sulla discontinuità dei percorsi di vita, sulle fratture, sul cambiamento, sulla scelta, sul libero arbitrio.

In realtà potrei dire che c'è molta carne al fuoco, molti i punti del pensiero, delle riflessioni, alcune di carattere più ordinario, più pratico del vivere quotidiano, altri temi molto più profondi che riguardano il senso della vita, quello che c'è oltre, dentro e fuori la materialità del corpo, dello spirito e del tempo.

Se mi consentite un'astrazione e una forzatura simbolica, non si tratta della realizzazione di un piatto lineare, come in nella cucina di una volta, in cui con un piccola macchina manuale inserivi carne magari di diverso tipo per realizzare una salsiccia. Si tratta in realtà più di un'insalata particolare, con molti ingredienti differenti in cui uno chef d'eccezione indica le modalità di composizione per assemblare un piatto semplice negli elementi di base, ma complesso nel suo assemblaggio.

In sostanza il protagonista della storia è la nostra coscienza, nella finzione narrativa è la storia di quattro protagonisti che “muoiono” suicidi, ospiti di un albergo con un gestore d'eccezione, un angelo, che in una settimana guida i protagonisti nell'analisi della loro vita per comprenderne il senso e per poi, alla fine del periodo, metterli nella condizione di rifiutare l'abbandono della vita e continuarla a vivere nel rinnovato senso di coscienza di sé stessi e del mondo. Per cercare di sistematizzare i tanti messaggi in esso contenuti, individuo due grandi punti, quello della presa di coscienza di cos'è la vita, delle nostre fragilità, di cos'è la felicità, e il momento della scelta, alla fine del periodo.

In sostanza nel film i protagonisti vedono la separazione tra la parte fisica dell'essere con quella spirituale della coscienza e della conoscenza di se stessi e delle dinamiche del nostro vivere. Vedono come la fragilità sia ordinaria, come i fallimenti, le inadeguatezze una condizione ordinaria, come la felicità in realtà può leggersi nella duplice configurazione del vissuto di un desiderato realizzato o nell'assenza di un disagio indesiderato. Vedono inoltre come il sistema di relazioni con l'altro influisce in modo fattivo nella ricerca della propria felicità ed è spesso fonte di infelicità, di percezione di inadeguatezza e questo a prescindere dal legame affettivo. Uno dei punti che più risalta, e non è la prima volta nelle narrazioni cinematografiche, è il rapporto con i propri genitori i cui la visione di bene di chi ci è vicino, spesso contrasta con quello che siamo, con quello che abbiamo dentro, con il nostro particolare ed unico modo di essere, vivere e vedere la vita. La particolarità, dell'individualità, che trova spesso ostacoli proprio laddove invece dovrebbe risiedere l'accompagnamento verso il proprio cammino di ricerca della felicità. Diciamolo subito, felicità che è la condizione di alternanza ai disagi, all'infelicità intesa come caduta, come fatica del vivere. In realtà è così per tutto il nostro modo di essere, la duplicità che è condizione dell'umano, bello e brutto, buono e cattivo, male e bene, e così via. Quindi il messaggio che emerge è che la felicità è una condizione non continua che si alterna con le altre due condizioni, quella in cui c'è fatica e quella in cui c'è attesa. In realtà tendenzialmente l'uomo realizza la condizione neutra, quella di sospensione tra momenti belli e brutti, la stabilità, cercando di eliminare gli ostacoli dentro e fuori che portano sofferenza e poi, magari al raggiungimento di un obiettivo, piccolo o grande, godendo dei propri momenti di felicità. Non mi dilungo molto sul punto, perchè attiene alla riflessione sul senso profondo della vita, del nostro vivere, di cos'è per ciascuno di noi la felicità o quantomeno la condizione di non sofferenza, poi di benessere. Ma ritorno un attimo sul punto relazionale, per estendere il concetto di servizio nella relazione con i più stretti legami, per sottolineare come l'affettività, il voler bene a una persona, amare una persona, non significa estendere il proprio concetto di bene per l'altro, significa piuttosto mettersi a disposizione per realizzarne, per quanto possibile, i desideri. Un atteggiamento che non toglie, all'individualità di chi amiamo, ma aggiunge anche il più piccolo pezzetto per rendere quella ricerca la più facile e stabile possibile.

Ecco che nell'osservazione esterna di se stessi, emergono le riflessioni profonde sul senso della vita, il rapporto con gli eccessi, alimentari, comportamentali, la ricerca del successo e della gratificazione economica, la capacità di saper apprezzare, quando ti manca, anche il più piccolo atto quotidiano.

Se ci fate caso, il viaggio dei protagonisti nella loro coscienza dura sette giorni, proprio il periodo di tempo in cui dio ha creato l'uomo, tant'è vero che un giorno dei sette è dedicato al riposo, alla giornata libera. In questo si evince una sorta di analisi e riformulazione della propria vita in senso biblico, la presa di coscienza delle deviazioni moderne e della materialità della contemporaneità che sostituisce alla condizione spirituale di felicità quella della fruizione, dimenticando che la fragilità, l'insuccesso, la caduta, è condizione ordinaria e che la chiave di lettura nella ricerca della condizione di felicità passa preliminarmente attraverso la comprensione di noi stessi, di ciò che siamo e desideriamo, delle “inefficienze” percettive della nostra individualità e, successivamente, nella valorizzazione delle qualità intrinseche, che, in realtà, ci rendono unici ed eterni, nello scorrere dell'umano e del tempo.

L'altro punto, quello conclusivo, è relativo alla scelta; alla conclusione dell'introspezione sulla nostra coscienza e su noi stessi, decidiamo se “suicidarci” simbolicamente continuando a vivere la stessa vita, gli stessi errori, la stessa dinamica percettiva, oppure la presa di coscienza di quanto sia fondamentale implementare ogni tipo di sforzo per vivere, a prescindere dalla condizione che in parte dipende da noi, in parte dipende inevitabilmente dal destino e dal contesto esterno. Vivere, cercando il percorso, cioè il passaggio dalla condizione di prevalenza della fatica e dell'inadeguatezza, alla fase di calma in cui non c'è sofferenza né gioia, e, al suo interno, la ricerca della condizione in cui sia più facile o più frequente vivere momenti di felicità e allontanare o limitare la sofferenza e la percezione di inadeguatezza. In ogni fase in cui ci fermiamo, analizziamo il nostro percorso, prendiamo coscienza, possiamo liberamente scegliere cosa farne del resto del nostro percorso, in che modo vivere.

La finzione narrativa del film ripropone quello che a volte succede nella realtà, quando ci sono cadute, discontinuità, fratture: decidere come ripartire, come continuare il nostro percorso. Si ripropone in parte la dinamica, per chi l'ha visto, di -Squid game-, dove lì, in quel contesto, gli “sfasciati”, gli inadeguati della vita, gli “indebitati”, per varie ragioni, hanno la possibilità di riformularla con un scontro fratricida con l'altro, la tua morte, la mia vita. Un'ipotesi di uscita dalla palude della caduta, all'interno del mondo materiale, dove i potenti di successo "giocano" sulla pelle dei relitti del mondo materiale. In questo film invece, non c'è la lotta con l'altro, ma solo con sé stessi, decidere se uccidere, modificare o conservare quello che siamo, per una nuova rinascita, per una nuova riformulazione. In tutte le scelte, mi piace riportare in primo piano la dinamica del rapporto genitoriale per far comprendere come anche il più forte dei legami affettivi può essere fonte di infelicità, quando ci devia e pone ostacoli per realizzare ciò che effettivamente vogliamo: la scelta in definitiva non è tra ciò che risulterebbe più adatto secondo la visione degli altri, non tra l'elevazione, presunta, al rango di servizio, non al comportamento giusto e corretto, ma fondamentalmente la scelta di disporre del bene più prezioso che abbiamo, la libertà della libera scelta di seguire ciò che siamo avendone compreso la natura.

Ecco che tre dei protagonisti decidono di superare il desiderio di abbandono anche delle difficoltà e della sofferenza della vita, avendone compreso la bellezza, mentre il protagonista che nella vita ha dedicato sé stesso a salvare gli altri, solo apparentemente decide di abbandonare il vissuto nella sua individualità terrena, in realtà la conserva facendo quello che era prima la sua specificità, ma solo proiettandola in un'altra dimensione, più forte e maggiormente amplificativa. Così tutti protagonisti in qualche modo, nella scelta consapevole, realizzano il loro percorso di felicità, chi rinunciando alla morte, per vivere, chi rinunciando alla vita, per trovarla in un'altra dimensione: l'elemento comune è l'ascolto di sé stessi, seguire la propria percezione.

Ciascuno dei protagonisti segue sé stesso, così come nella vita a volte il palco del nostro vissuto è realtà, e quella che viene individuata come realtà è invece il palco delle relazioni e dei pensieri precostituiti e confezionati, in cui la nostra individualità muore. Ecco, in fin dei conti, dobbiamo decidere noi, in base a quello che sentiamo dentro, se il primo giorno della nostra vita sarà palco o realtà, se e come vogliamo morire o vivere.

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