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La cultura alcolica dell'Etica

Aggiornamento: 16 mag 2023


















La chirurgica vivisezione della cultura nel parametro etico, mette a nudo un atteggiamento intriso di ubriacatura verso il suo corretto, che separa, esclude, divide, cancella quanto più di vero c'è nella dimensione umana, l'espressione dell'anima tra gli opposti del bene e del male, di ciò che è inteso come bene e come male. E nasconde i propri difetti, i propri limiti, la propria inadeguatezza, glorificando il proprio seminato, un orticello intriso di esclusione e di violenza, e contrasta il bene più grande che abbiamo, la libertà. Anche quella di riconoscere il bello al di fuori del proprio orticello.

In arrivo, fottendomene della portata dell'argomento e delle mitragliatrici della cultura "ampia", sempre pronta a tirar fuori il lato etico pro domo tua, pardon sua.


Svolgimento

Ho riflettuto, dopo aver osservato attentamente, ascoltato, scrutato le forme fisiche, mentali, dei "tratti" dei protagonisti, dei recitanti, sono arrivato a questa conclusione, a prescindere dalla complessità dell'argomento, su cui si è certamente scritto anche se forse con parsimonia, con attenzione e per ovvi motivi: è inutile, totalmente inutile approfondire, argomentare. Tempo perso.

Per conferire però, solo un poco di chiarezza, il mio pensiero su qualche punto, anche oltre la connotazione etica:

- è inutile argomentare tanto, al di là della forma, ognuno resta di fatto sulle posizioni, la visione di parte in un sistema di pensiero chiuso, come purtroppo avviene nell’ambito dei gruppi contemporanei, all’interno delle utilità e delle ideologie del corretto, lascia pochi spazi; non si tratterebbe comunque di essere particolarmente arditi, quando c’è da affermare cioè che è, è sempre meno complicato del contrario, affermare che c’è quando non c’è. Eppure, troppo spesso, avviene il contrario, è la cultura dominante che prevede l’appartenenza alla dimensione del riconosciuto e accettato, nell’organizzazione palaffittica con il parametro verticistico e la check list tutta a posto;

- il parametro etico nella dimensione culturale? L'erudizione, la cultura, quella cultura "ampia", sempre pronta a tirar fuori il lato etico, dovrebbe produrre apertura, accettazione del diverso, riconoscimento di ciò che trae origine da una dimensione dell'anima e del ragionamento, lontana e difforme del magazzino della cultura certificata, o no? A che serve la cultura, se non produce atteggiamenti “onesti”? E se il nettare buono esce fuori da un guscio percepito, e visto, come sfasciato, diventa solo una produzione specifica del contemporaneo che produce solo pezzi di carta? Oppure dobbiamo pensare che il riconoscimento e la rivalutazione postuma di poche o molte produzioni artistiche al di fuori dei contesti accreditati, è un processo ineludibile?

- si comprende che dove c’è uniformità e omogeneità di pensiero, il riconoscimento diventa più semplice, ma sa molto di chiusura, non di apertura. Cosa c’entra un atteggiamento chiuso magari all’interno di un gruppo, di una casta, o simili, rispetto alla constatazione dell’esistenza di un’emozione quando viene prodotta e stimolata? Diventa “politica” del mezzo rispetto al fine?

- ne consegue che l’economia diventa arte e l’arte è solo in funzione di utilità e strumentalità, non solo al business, ma anche al pensiero di parte;

- la poesia, la scrittura, come la musica, il teatro, il cinema e tutte le altre forme di rappresentazione, sono strumenti del racconto e la realtà a volte, o spesso, è cruda, dura e se ha necessità di urlare ed esprimere un sentito profondo, può generare tutti i tipi di sentimenti. Ciò che divide non è il racconto, ciò che divide è il pensiero ed il vivere, l’organizzazione, l’evoluzione, il praticato, non il suo racconto; e se serve discussione, anche contrapposizione, lo scritto fa il suo onestissimo, per quanto avverso e non accettato, lavoro;

- pleonastico, scrivere e non leggere è un controsenso, un’eccezione difficile da controbattere, inoltre, la dimensione personale, di cultura, definisce le scelte, benissimo. Però se ti imbatti, per qualsivoglia motivo, su un’opera, a quel punto mi sembra giusto essere onesti. Fare esperienza su qualsiasi tipo di opera artistica, lettura, ascolto, visione, è già di per sé sufficiente a definire l’esistenza del prodotto e attribuirne una valutazione personale.

- educazione, formazione, studio, è chiaro, la conoscenza impone una lettura. Ritorno su questo punto per l’ennesima volta. Sono fermamente convinto che l’umano abbia sviluppato una capacità cognitiva, intellettiva, minima rispetto alle potenzialità, perché gli spazi di ricerca ed autonomia del pensiero e dell’esperienza sono limitati. Iniziamo da piccoli ad ingerire nozioni, tomi, secondo una precisa via, secondo un preciso modo di lettura ed indirizzo, spesso senza capacità critica se non funzionale allo scopo o all’indirizzo. Il concetto di studio e lettura oggi assume, a mio avviso, una dimensione tutta nuova, perché lo studio indirizzato richiama una modalità interpretativa codificata in cui, troppo spesso, si individua un’organizzazione, una gerarchia, e quindi un adeguamento, una conformazione, un adagio, se non un asservimento, per collocarsi e ritrovarsi nell’ambito di quel contesto. E’ come andare in apnea, chi arriva a 10 chi a 50, nella stessa esperienza di immersione, di pratica, di modalità di rielaborazione che limita l’innovazione e l’esercizio al superamento del conosciuto. Non che ciò non avvenga, ma è un processo troppo soffocato. E apre il privilegio all’indirizzo gerarchizzato della conoscenza che, purtroppo, pone limiti alla libertà di pensiero. Tutto è funzionale ad un qualcosa. Ecco perché spesso, troppo spesso, i poeti, i letterati, i pittori, i musicisti, gli artisti, sono sfasciati, hanno un’esistenza sfasciata, turbolenta, sofferta, perché il centro dell’azione è la rielaborazione personale, il vissuto che si esprime senza schemi, che è influenzato dal tutto e dal niente ed individua un risultato mai scontato e sempre nuovo. Ecco, questo è l’inconciliabile modo di essere, di convivere le due dimensioni, il sentito che esprime senza soddisfare un risultato esterno e il risultato esterno che sollecita il sentito. Nel primo caso, la definizione di un qualsiasi obiettivo esterno è, già di per sé, un tappo che chiude la fuoriuscita di qualsiasi pensiero ed emozione. E poiché non c’è dimensione quantitativa, innaffiare quest’orto in senso pratico materiale è sempre un problema che produce, appunto, lo abbiamo visto in passato, povertà e rarità materiale. Ed ecco perché in passato erano i signori a mantenere gli artisti. Ed ecco perché nella contemporaneità è sempre più difficile incontrare lo strappo puro dell’esercizio, che se non ha riscontro economico muore o non nasce;

- l’humus nel quale si produce un lavoro, un’opera, non è mai identico, né ha qualità intrinseche specifiche, ma è sempre diverso, unico nell’ unicità dell’essere, particolare nella sua composizione e nel risultato in cui l’esperienza si rielabora e prende forma, è parte nel totale dell’essere, parte di una diversità che è spesso, multidisciplinare. Ecco che abbiamo vissuto decenni passati immersi nella specializzazione, la conoscenza dello specifico settoriale, che spesso è di ostacolo all’animo, alla conoscenza e all’esperienza, nell’esplorare i mondi del vissuto, laddove la multidisciplinarità crea invece flessibilità, capacità di comprensione dei comportamenti e dei sentimenti, quindi maturazione, stabilità, e poi, saggezza. E ancor oggi non riusciamo a discernere, misurando la multidisciplinarità, che va sull’ animo, con l’asticella della conoscenza settoriale. Nello spaziare, il pensiero diversifica e spesso contrasta l’esperienza dell’omologato;

- si può partire dalla lettura e studio di tutto e poi formulare presente e futuro sulla base dell’immesso, si può vivere il presente e costruire il futuro nell’esperienza e tornare indietro nel tempo e prelevare ciò che, nell’esperienza passata, delle anime passate, ha prodotto conoscenza, portando il suo contributo nel proprio presente;

- l’etica, nella cultura e nel vissuto, è accettare l’altrui pensiero, nell’oggettività della constatazione che non esclude ma prevede la scelta, il cui rispetto è alla base di ogni libertà, anche quella del pensiero chiuso che rifiuta.









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