top of page

La cultura della coltura del farlocco: da "bastonbeautiful" italia

Aggiornamento: 16 mag 2023


dal meeting letterario "Bastonbeautiful Italia" ricevo e pubblico l'articolo del prof. Edmondo Appizzo, scurissimo professor di pauropsichiatria, nonchè Presidente dell'associazione -

"Again-"Fallo" un'altra volta".



"Egregi gnori, come non partire dalla seguente riflessione,


Avete voi mai conosciuto un Paese dove la calunnia sia così potente e così avida, dove in così breve tempo si sia lacerato un ugual numero di riputazioni onorate? Si grida per tutto che ci vogliono uomini nuovi, perchè gli uomini vecchi sono già consumati; ma non appena si vedono i segni d’un qualche giovane di vero ingegno che sorge, un mal volere, direi quasi, un odio infinito s’accumula contro di lui e lo circonda.” Pasquale Villari


Il cuore della mia riflessione non è tanto sull'esistenza o meno di un qualsiasi talento di ingegno, di visione, o di coraggio, che viene cancellato insieme alle prove che ne sono evidenza (spacciate per falsi), quanto la nerbatura di fondo della riflessione, l'esistenza e direi la persistenza ai nostri giorni, di quella verga afflittiva capace di radere al suolo non solo il talento, ma ogni e qualsiasi istinto della bontà d'animo che non si colloca in nessuno dei farlocchi chicchi dei grappoli in cui i gruppetti del presente trovano collocazione in primis ai fini di esistenza e, poco in subordine, per il mantenimento delle arroccate e consolidate posizioni di potere, ideologiche e di difesa di casta.

La mia riflessione è sul ruolo della cultura nelle sue varie forme di arte, per porre una domanda: può, la cultura, produrre squadrismo di casta, dove per squadrismo intendo l'utilizzo della squadra per disegnare gli angoli retti in cui si sostanzierebbe l'erudizione di essere colti e litterati? Possono, le lettere, diventare numeri, primi, secondi, ultimi, non ha importanza? E' veramente questo il ruolo ma soprattutto, l'effetto della cultura? La cultura, per essere riconosciuta veramente come tale, come può non produrre effetti concreti sull'animo, in primis verso il riconoscimento dell'oggettivo, del sentimento dell'accoglienza, della diversità, della specificità, della comprensione anche delle più recondite sfaccettature dell'essere? Può la cultura produrre il falso ideologico asservito alla corrente di pensiero, suo servente che confligge con l'opposto in senso in primis ideologico, a prescindere? Può la cultura scadere nel cattivo gusto dell'afflizione, distruggere anche i più chiari prodomi della cultura? Può distruggere tutto ciò che, universalmente, è identificabile, in modo oggettivo, come degno di essere accettato come prodotto della natura intima degli uomini? Può, nel senso è giusto, che si distrugga cioè che la natura, cioè Dio, crea, in ogni individualità, in ogni particolarità, in ogni talento? Come può, la cultura, non trasformarsi in strumento di liberazione, di libertà e ancor prima, in strumento che regala umanità? Da cosa deriva tutto ciò, dal consolidamento delle posizioni individuali all'interno delle classi di appartenenza, in primis culturali che spesso coincidono con quelle di tipo politico, necessarie per l'erogazione, per l'avanzamento, per il riconoscimento, per la glorificazione? Dalla necessità di essere inquadrati nell'ambito del sistema verticistico e di controllo che garantisca il mantenimento delle proprie posizioni in un ordine consolidato all'interno delle società? E' giusto, in ultimo, soffocare tutte le voci che narrano, staccandosene, la contemporaneità vista all'infuori del teatrino delle marionette, delle megalomanie (si, caro esimio, perchè di ciò si tratta, quando le individualità, seppur delegate dai poteri e in blocco, superano i limiti delle garanzie di libertà acquisite con il sacrificio delle vite, con il sangue delle guerre), senza la necessità che ciò corrisponda al vero esatto?

Riporto, di seguito la riflessione di un viandante, che aveva in sè una specificità, quella di rifuggere qualsiasi tipo di presidio di sostentamento, anche semplicemente di erogazione del cibo, provenire dai luoghi in cui l'esistenza del disagio è elemento, materiale e culturale, essenziale per definire utilità, ruolo e fine dell'organizzazione. Come fornire, nel set della povertà, i figuranti in scena per la rappresentazione dell'orrore delle società moderne. Mentre tutto ciò che è prima della condizione di povertà, nella fase di conservazione delle dignità, dell'affermazione del valore dell'unicità, viene dimenticato, ritenuto non degno di azione o, semplicemente, non affrontato perchè necessitano di atti di coraggio che possono spingere, essi stessi, al conflitto e relegare alla condizione afflittiva che, certamente, nella pura realtà, non si vuole mai condividere."


"In attesa di capire come si evolveranno gli accadimenti, le società azzerano i flussi di insofferenza e di protesta, se non di ribellione, affidandosi alle solide strutture di pensiero del passato, chiudendo in cantina tutto ciò che nell’immediato, può distruggere totalmente il mondo che ha trovato il suo punto di arrivo nell’equilibrio dei disequilibri. Chiudendo in cantina le voci che chiedono libertà, diritti, una migliore qualità di vita, condizioni di lavoro decenti, un sistema rinnovato di partecipazione alle decisioni della politica, che rifiutano l’imprigionamento della vita nella colla dell’assistenzialismo di cui nutrirsi come liquido vitale, che rifiutano il pensiero omologato e perfettamente adiacente se non combaciante con i caporali del pensiero che non perdono occasione, giorno dopo giorno, di perpetrare il sacrificio del capretto al dio terreno del politicamente corretto. E quindi, la necessità di “comprendere” e “capire”, “studiando”, ciò che il pensiero omologato ha prodotto nei diversi settori del mondo di dentro, che chiude le prospettive e impedisce di trovare il coraggio non solo di affermare un punto di vista diverso, ma concretamente, anche nelle piccole azioni, di implementarlo. E allora, perchè tanti scontri, perchè tanta contestazione, perchè tanta ribellione? Perchè? Ve lo siete chiesti, perchè? Ma soprattutto, che fine farà il malessere, quella che è stata identificata come “rivoluzione”, che certamente lo è, del pensiero, del modo di concepire il rapporto nelle società e con la natura, con il creato? Svanirà, oppure troverà, nei cavi delle connessioni, la sua dimensione reale, sarà la concretizzazione di un matrix dei nostri e futuri giorni? Basterà, alla fine, tirar fuori quei cartellini rossi, per salvare l’impalcatura attuale del sistema globale? "

Un viandante libero impenitente, uno di quelli a cui se lo avrete fatto, sarà come averlo fatto a me.

Comments


bottom of page