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Pillole di Economia e frammenti di pensiero nel mese delle rose

Aggiornamento: 16 mag 2023


Allora questa macro-Economia come va? Mentre gli Esperti della competenza affilano i coltelli del sapere come l’arrotino di una volta che passava e dava certezza del risultato, qui di certezza non c’è nulla se non osservare come alcuni fenomeni del nostro tempo, del nostro vivere, continuano ad accentuarsi e a presentare il conto all’umanità martoriata che già da tempo macera nella sangria di questa contemporaneità così opulenta da una parte e così lenta dall’altra a capire che “questo, quelo, ... proprio non va”. E intanto viviamo nel mentre, le trasformazioni che contabilizzeremo, nella mente e negli scritti, al primo prossimo step.

Macroeconomia, proprio una materia per specialisti, come la storia ci ha insegnato. Nel mentre ascolti i vari punti di vista, riesci, non sempre, a percepire in modo tangibile, i tratti caratteriali e di pensiero, le differenze nei punti di osservazione, il pessimismo e l'ottimismo, a seconda dei punti di vista. Non è una valutazione qualitativa sul sapere, perché in un periodo come questo, sento di poter dire che il tratto centrale è la complessità della situazione, complessità vera, la contemporaneità di problematiche, in cui tematiche ed orizzonti si sovrappongono, per cui nella specificità del periodo, quelo che si può dire è, “professore, non lo so…”.

Perché a livello macro si percepisce un velato desiderio che magari è anche un obiettivo di fondo, cioè il desiderio di recuperare condizioni per cui tornino valide le correlazioni classiche e i tratti classici dell’economia, cioè un quadro macroeconomico in cui muoversi per implementare azioni con la concreta speranza che le stesse raggiungano gli obiettivi desiderati. Al contrario, oggi come fai una cosa, ne ottieni un’altra magari opposta. Già, “per questo, quest e quest’altro motivo

Si è incartato tutto. Inutile spararsi addosso l’un con l’altro. C’è poco da fare, l’unica cosa è pacificarsi, il resto sono solo danni su danni, cioè piove sul bagnato: debiti privati, debiti pubblici, debiti per investimenti di rinnovo, debiti sanitari, debiti per aiuti, semplicemente debiti. In più, se l’economia non si muove, naturalmente le entrate si riducono, i sistemi di produzione industriale all’esportazione si sono contratti, il mercato interno, non solo il nostro, è stato distrutto all’epoca, perché la nostra area continentale è stata concepita, forse pensata, comunque si voglia dire, come un’enorme area di servizi e di consumo, dove i settori di competitività potenzialmente più importanti, pensiamo al turismo, sono stati relegati in una dimensione di semplice fruizione ma solo parzialmente, e localmente, come sistemi territoriali competitivi, dove sono necessarie le infrastrutture e non basta la semplice potenzialità, la condizione di base dell’essere attrattivi, ma servono tutte le attività di supporto nel pianificare i flussi.

Ecco, a livello interno, pur essendo presente sempre una forza competitiva produttiva, in generale abbiamo in passato disperso risorse, non siamo più competitivi sui costi, non abbiamo investito sufficientemente sui marchi propri, non abbiamo difeso i nostri assets e ribaltare sul prezzo la differenza competitiva di costo è un grande problema perché: si sono ristretti i mercati di sbocco, dal lato alto, le professionalità che nel tempo si disperdono, per quelle nuove ci vuole tempo, la compressione delle risorse destinate alla produzione ha reso più conveniente la scelta precaria, magari da intervallare con un po' di assistenza ma, in generale, mi sembra ci sia più orientamento al mix che garantisce una qualità complessiva di vita migliore, i fenomeni inflattivi specifici e strutturali in concorrenza aumentano i costi e agiscono dal lato basso portando fuori mercato le offerte. In definitiva, si contraggono i margini che, come flusso potenziale, riducono la sostenibilità degli indebitamenti per investimenti.

Insomma, tutti i nodi al pettine, è uno scenario tutto nuovo, in tema di problematiche da affrontare e problemi da risolvere contemporaneamente per cui, fai una cosa ne scombini due, si sistema un settore, se ne sfascia un altro.

Da qualche parte naturalmente c’è la quadratura, nel senso che di volta in volta, qualcuno paga, un settore, un ceto sociale piuttosto che un altro.

Fenomeno inflattivo diversificato, turbolenze geopolitiche, ridefinizione della logistica e degli assetti produttivi e di governance, sistemi di pensiero e spirituali, concezioni di vita, materialità molto differenti nelle aree territoriali e nelle posizioni sociali, mi sembra di capire che può aiutare, in questo momento, solo un atteggiamento positivo per uscire dai compartimenti stagni, nel non cercare a tutti i costi di ricondurre a schemi di pensiero e di organizzazione, del passato, che certo aiutano, contribuiscono, ma non sono più né il presente e nemmeno il futuro.

Ma certo, partiamo sempre da punti che consideriamo fissi ed invece probabilmente non è così, anzi il problema forse è proprio quello. In Covid abbiamo ammucchiato morti, con la guerra uguale, anzi con le guerre. Mentre la popolazione mondiale cresce, l’umano, o una parte di esso, considera queste perdite come fisiologiche nell’ambito dell’evoluzione della razza?

E’ corretto, accettabile, pensare che le posizioni di precarietà in genere che non ci toccano, siano da considerare appunto come fisiologiche, magari discuterne, cercare anche di contribuire a un minimo di cambiamento, ma di fatto continuando ad avallare un sistema complessivo che onestamente è diventato molto precario?

Basta vedere quanto è precaria la ricchezza, l’avete visto? Tutte le ricchezze oggi bloccate, in un contesto non pacificato, ne sono l’evidenza. Ci poniamo il problema di quanto sia precaria anche la migliore condizione economica e sociale?

I temi generalmente considerati come di proprietà di una minoranza che ne discute, se ne fa portavoce, ma di fatto non pesa, possono essere ancora trascurati senza che si definisca un’embrione di cambiamento effettivo, almeno nel sistema delle regole, in quella che chiamiamo burocrazia?

E, in definitiva, la cosa più importante da fare, non teoricamente ma in pratica, non è forse quella di mettere da parte un po' o molto dei conflitti, dell’appartenenza, dei tratti stampati indelebili, del rew, e cercare invece quantomeno la riacquisizione di una condizione calma che consenta di superare parte dei grandi problemi, intravedere una via, definire poi ciascuno i propri percorsi e, in una condizione successiva meno problematica e conflittuale, riprendere magari le battaglie per spingere l’evoluzione delle società in una direzione piuttosto che in un’altra? Non è meglio cedere qualcosa ora, che ritrovarsi cappottati peggio che con una 500 vecchia, così tanto amata in cui alcuni ambiti, con cui alla fine ti fai pure poco male, perché le 500 di una volta erano già concepite come si deve?

Queste, cioè le problematiche attuali, non sono chiacchiere da bar sul pallone, qui in qualsiasi contesto, più o meno pubblico, se vai fuori dal seminato partono gli emboli e basta poco per prendere una strada senza ritorno, un attimo.

Né mi sento di dire, che le competenze qualitative delle conoscenze, in generale, anche quelle tecniche che hanno comunque limiti, possono oggi essere considerate da sole sufficienti, sembra che il problema sia molto più complesso e spesso la qualità, effettiva o presunta, può essere insufficiente a percepire come il mondo si muove, cioè come le anime si muovono, perché in esse si formano le volontà, le percezioni, i desideri, gli aneliti, le necessità.

Attenzione all’accezione puramente qualitativa che rischia di restringere il campo a chi parla lo stesso linguaggio, lasciando all’esterno una moltitudine senza timbro ma con un’esistenza da vivere.

Comunque, fate voi.

Un concetto che mi è a cuore, a scalare, man mano verso la base della società, proprio per cercare di uscire dal fosso, perché non so se molti se ne sono accorti, il burrone è pronto per accogliere tutti, l’avete capito o no?

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