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Quel posto che non c'è

Aggiornamento: 16 mag 2023



“Occhi dentro occhi e prova a dirmi se un po' mi riconosci o in fondo un altro c'è sulla faccia mia Che non pensi possa assomigliarmi un po’…” Negramaro – “Quel posto che non c’è


Bellissima,

ma quel posto, quello del passato che in molti cercano disperatamente come via d’uscita, come via d’approdo, lontano da un presente che ci ha portato una contemporaneità indefinibile, perchè pandemia e guerra o meglio guerre, certificano semplicemente, come pura e semplice constatazione, l’esistenza di un presente agghiacciante nella sua problematicità, non c’è.

Nulla di perduto, nulla che possa tramortire la fiducia e l’ottimismo per il futuro, nulla che possa annullare i miglioramenti che certo nel corso dei secoli l’evoluzione delle società ha portato rispetto al passato, se non altro in termini di materialità, ma i contrasti, le violenze, le disuguaglianze, le problematiche sociali, le fragilità innegabili di molte strutture sociali che certificano l’esistenza di problematiche sociali, sono tra noi. Tratti che neanche la minimizzazione o la negazione della loro esistenza da parte di molti pulpiti accreditati, in conseguenza di un atteggiamento francamente incomprensibile nonché indefinibile perché tende a tordizzare le anime di qualsivoglia cittadino che in questa contemporaneità vede e tocca da vicino l’esistenza delle fragilità. Ebbene, troppo spesso i richiami sono al passato, a ricostruire, ridefinire i contorni dei tempi che furono, con i suoi tratti, i suoi uomini e donne, con le sue criticità, le sue violenze, le sue eroicità, la sua consistenza e la sua nullità e una concretezza che assume la forma del condensato della memoria che è parte del profumo della vita ma non ha consistenza nel presente. Perché, cari amici, signori e signore (prima i signori, perché quando si entra in un luogo nuovo e in un pensiero nuovo è tratto gentile esporre prima l’uomo a difesa del gentil, o ex, gentilsesso, questione di gentilezza) quel passato non c’è più, magari possiamo trovare tratti di somiglianza in alcuni aspetti, in alcuni comparti, ma il mondo di oggi, quello odierno, segnato da tratti specialistici, individuali, unici, sono segno di un mondo nuovo la cui complessità non è possibile paragonare a nessun periodo del passato, anche andando lontani nel tempo. Gli specialisti della conoscenza codificata sapranno argomentare meglio nel dettaglio, ma la percezione intuitiva di ciò che abbiamo davanti, ci regala uno scenario inedito, per complessità dei temi e perché, diciamocelo chiaramente, negli ultimi decenni non ci siamo mai voltati indietro per capire se la strada era giusta, se la direzione era giusta. Mai o quasi. Fino a quando, ad un certo punto, abbiamo cominciato ad annotare la contabilità della disgregazione di molti mondi, di quello complessivo che non cito per non essere ripetitivo, a quelli particolari, che ci hanno fatto confluire in un coacervo di problemi per cui oggi, in questi giorni, mentre scrivo, cominciano a trapelare le prime informazioni sulle problematiche alimentari, il rischio cioè che intere popolazioni non possano mangiare. Adesso, chi glielo dice al popolo del “sta tutto a posto”, che la situazione è questa? E non è una questione di fiducia, o positività, o di leggerezza, di cui tutti abbiamo bisogno, soprattutto per alimentare positivamente le aspettative. Però, però.

Quel posto del passato, vissuto ai vari livelli dalle tante umanità, dalle tante personalità, non c’è più.

Indietro non si torna, c’è solo un mondo presente con le sue drammaticità ma anche con le sue enormi prospettive di discontinuità, con le sue opportunità, con la sua fiducia, pronto per essere riconfigurato con ottimismo per il futuro e nessun anelito di retrocedere verso un passato, se non alla ricerca di un velo di malinconia che ci regala sempre la dolcezza dell’amore.

E le vita delle beccacce contemporanee, quali noi siamo, già obbligate a vivere in un contesto ambientale talmente nuovo e difficile, rischiano di essere impallinate sia per l’inadeguatezza del vivere il presente che per l’incapacità di essere passato e questo significa, semplicemente, botte vuota e moglie sobria. E sono semplicemente solo dolori. E c’è una innegabile problematica, se vogliamo anche fisiologica, normale, di configurare il futuro che pian piano si dovrà pur scrivere e realizzare.

Lasciamo perdere il passato, se non magari per trarre qualche spunto da cui ripartire e proviamo a vedere perché tutto è così nuovo e diverso e, soprattutto, tutto così più difficile.

Si potrebbe iniziare da qualsiasi dei grandi problemi del pianeta, ecologico/ambientale, economico, surriscaldamento del clima, distribuzione ricchezza, flussi migratori, con tutto ciò che comporta, temi già richiamati e trattati abbondantemente ma mai abbastanza perché sono oggetto del contenuto di riformulazione culturale all’interno dei sistemi geopolitici.

Per cercare di comprendere la portata della novità dei tratti della nostra contemporaneità, partendo naturalmente dal nostro punto di osservazione geografico, vorrei partire dal suggerire un esperimento, un tentativo di settare l’anima.

Tutto condizionato certamente dal percorso fatto nella vita, più o meno giovani o maturi, appartenenza sociale e geografica, comunque ognuno magari troverà un risultato che ha il solo fine di condensare un sentimento.

Trovate un luogo tranquillo, anche in casa, o fuori, in silenzio, magari con qualcosa da bere se vi ispira, senza rumori, senza disturbo e cominciate pian piano, entrando in voi stessi, a riflettere e guardare con distacco il vostro sentire, la vostra sensazione, pensando a ciò che avviene e accade.

1. Avete le idee chiare?

2. Provate a riflettere sui problemi concreti, se avete un obiettivo, uno scenario da sviluppare, una certezza da confermare, vi è chiaro il quadro di riferimento?

3. Cosa vi dà certezza?

4. Ritenete di poter considerare definiti in modo chiaro gli aspetti più importanti che riguardano il Vostro vivere?

5. Che sensazioni vi procurano l’incrocio di informazioni contrastanti che provengono da più parti, non solo fake news, ma i diversi modi in cui gli stessi aspetti vengono definiti in modo diametralmente opposto, a seconda della provenienza.

6. Nel vostro animo, Vi sentite tranquilli?

7. Sentite di avere una confidenza con l’orizzonte temporale del fluire della vita, negli aspetti più importanti? Detto anche in altri termini, integrativi, avete punti fermi? O vi sentite un po' stupiditi dalla frammentazione informativa, dai contrasti originati dall’accavallarsi di analisi retrospettive, desideri di nuovi assetti, problematiche contingenti e strutturali, orizzonti temporali brevi, medi e lunghi, che sui piccoli e grandi temi si incrociano?

8. Non provate un certo senso di troppa, abbondante precarietà in tutto?

9. Non sentite l’esigenza di semplificazione, che si tratti di intelletto, di razionalizzare, di alleggerimento, di liberazione? Di riduzione delle conflittualità, della libertà della piccola stupidaggine detta in leggerezza, dell’alleggerimento della pesantezza dell’obbligo del perfettamente confezionato, della sindrome dei primi della classe, dei grembiulini tutti stirati e lindi?

10. Avete fatto due anni e mezzo di isolamento, ora la guerra, bene, pensate ci sia qualcosa che non va?

11. Cosa ci ha regalato il progresso?

12. Come si fa non solo a giustificare una guerra, ma a pensare che sia necessaria? Non si tratta di essere finti o reali pacifisti o meno, si tratta di capire che il linguaggio della vita, avulso anche dalle connotazioni religiose, passa attraverso la spiritualità dell’esistenza e i paletti imposti da un mondo che vuole regolare, contrasta con l’esigenza dell’umano di trovare piena consapevolezza del proprio essere;

13. abbiamo perso la sovranità monetaria, ah benedetta inconsapevolezza e la pace dei sensi del sovraordinato bene collettivo, sapremo ritrovarlo?;

14. Conflittualità, poteri in contrasto, il bastone, prima a me, poi a te, poi a noi, in una disgregazione del buon senso che regala solo un profondo senso di impotenza, nel desiderare, nella speranza, nel presente e nel futuro;

15. Vi piace, lo so, a voi di una certa età, vi piace, vi dà sicurezza, andare dal milite, oggi ignoto, a chiedere, a volte supplicare, comunque a chiedere, quel brandello di buon senso e umanità, da cui il senso di restaurazione, di ritorno a ciò che non c’è più;

16. Oh, a voi che avete insanguato il buon senso, distrutto l’anelito di esistenza della condizione di precarietà e imperfezione dell’umano essere, oh quanto avete soffocato e ucciso quell’anelito di speranza in nome del nulla, di una esacerbazione dell’astrazione di un concetto di purismo incapace di vedere anche la minima evidenza del coito personale che trancia il buon senso e la più normale capacità di comprendere i minimi tratti dell’umano e delle sue organizzazioni sociali;

17. Oh, voi puristi di un diritto imperatore del rovescio, oh voi così chiusi nell’affermare a tutti i costi la predominanza di una forma sulla sostanza, di un’estetica violentata dall’inerzia del non cambiamento, così disposti ad accettare il rumore assordante dell’iniquità, dell’ingiustizia di fatto, così tanto specialisti nel codificare i tratti del suono di un rumore privo di audio, così incapaci di domare la bestia dell’indomita afflizione che tappezza i contorni delle anime di questo mondo, oh quanto ci piacerebbe un vostro anelito di imperfezione, di mancanza, di deficienza nel senso di quam deficere, della perfezione codificata, per abbandonarvi a un qualcosa che più non c’è, ma che solo il vostro anelito di amore può regalare, il senso concreto di giustizia;

18. Ah, anima motore del provocare contrasti nei mondi delle strutture, dell’individualità che finisce per essere catalogata, omologata e raggruppata, che si muove in contrasto e definisce tratti che partono dall’individuale, transitano nella codifica di gruppo e ritornano nell’ambito di un contesto di vita in cui quel dna, semplicemente, scompare;

19. oh, voi umanità troppo spesso sopita nel sonno di un conto attivo, guardate la realtà del vostro vivere, senza un segno di vita nel muovere verso la carità, verso l’umanità sofferente e non solo nel senso materiale, ma soprattutto nel senso della comprensione degli eventi.

Vogliamo desiderare un po' di più il rispetto reciproco che parte dal riconoscere l’individualità, che trova collocazione nell’ambito di soluzioni che certamente rientrano in una casistica, che rispettano priorità e obiettivi ma che non sono rigidi? Non pensate sia ora di togliere molti paletti rappresentati molto spesso solo da inchiostro su pezzi di carta rilegati ma che nulla hanno a vedere con le esigenze quotidiane di vita, non è il caso di reintrodurre qualche sano tratto di primitivo istinto di sopravvivenza rivisitato nell’ottica di una conoscenza che finalmente mette la briscola alta quando ci sono i carichi sul tavolo e non solo nelle innumerevoli ed inutili volte in cui ci sono solo lisci sui tavoli di questa vita?

Un sano realismo che guarda le cose, traslando le modalità di osservazione come facciamo quando guardiamo una cosa che ci piace, vogliamo riscoprirla oppure continuiamo a portarci appresso pesi senza più il carburante nel motore?

Il sano realismo della gestione dei progetti, da quelli più semplici e a maggior ragione per gli aspetti più complessi, in cui gli obiettivi di fondo sono pianificati, raggiunti da step intermedi e da quelli più vicini in cui il compromesso tra passato, presente e futuro è necessario per andare a target e, soprattutto, per non morire nel presente?









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