Il nuovo mondo dei diversi mondi
tra necessità e utopia 1 parte
Che
ci sia un mondo in trasformazione, penso sia chiaro a tutti. Una volta per tutte provo ad individuare le fasi: il lungo periodo dell’espansione economica e delle relazioni internazionali cioè il periodo globale, poi quello successivo delle crisi economiche, poi quella pandemica e dei conflitti, caldi, cioè le guerre, fredde, quelle nelle società e tra le società con scontri di diversa natura, politica, culturale, economica, sociale, in generale una fase di fermento, di osservazione ed analisi delle democrazie occidentali e delle relazioni tra stati nel mondo.
Qualche anno fa, il mondo ha dovuto fare i conti con la pandemia, un evento, se vogliamo, in contrasto con l’evoluzione della scienza e della tecnica.
Mettendo da parte per il momento le considerazioni di sintesi più rilevanti in proposito, certamente non possiamo non considerare l’eccezionalità non solo dell’evento ma della sua collocazione storica.
La pandemia si sviluppa proprio nel momento storico in cui erano già in essere i movimenti tellurici, se così li possiamo chiamare, del mondo globalizzato arrivato a fine corsa su molti aspetti.
Una delle conseguenze della necessità di gestire un’emergenza è stata quella di individuare le modalità con cui attivare i processi decisionali al di fuori degli schemi tradizionali.
E così, le diverse visioni della vita, i diversi modi di procurarsi sostentamento ed esistenza, l’accezione disomogenea del concetto di libertà personale, in generale di trade off tra individuale e collettivo, sono entrati in collisione, si sono scontrati, poi confrontati, in una dialettica o no, non ancora certamente definita.
Il preambolo solo per arrivare al punto di partenza della mia riflessione, cioè la domanda su cosa è in gioco nella dinamica delle società in movimento, un tentativo di ricomporre e far emergere il filo conduttore che lega tutti gli eventi straordinari che lo sono persino nell’evento singolo della vita di tutti i giorni. Straordinari lo sono perché molte delle problematiche sono caratterizzate da profonda discontinuità rispetto al passato. Straordinari, o eccezionali, perché è tale la dimensione dei conflitti.
Il modello di società, cioè come sono impostate le società, nelle loro strutture economiche, giuridiche, educative, religiose, è l’oggetto primario che genera gli scontri oggi in atto in larga parte delle aree del mondo.
È in questo ambito che si stanno muovendo le azioni, le riflessioni, i moti di innovazione, rinnovamento, trasformazione, conservazione. E i conflitti.
Mi ha molto colpito una dichiarazione del Presidente D. nell’accompagnare il rapporto per l’Europa: in sostanza il modello non è in discussione, cioè questa società, intesa non quella specifica di un Paese, ma la società occidentale, non si cambia. Ecco, possiamo supporre che nella complessità della redazione di un programma redatto con una rigorosa analisi e sistematizzazione delle fonti, il pensiero raccolto tra gli attori del mondo contemporaneo si sia condensato in quel “non si cambia”. Certo, non si cambia non significa “non si modifica”, ma è chiaro che il modello non si stravolge.
La primissima domanda è: c’è qualcuno che lo vuole stravolgere oppure sono in tanti che non solo desiderano ma che hanno necessità di profondi cambiamenti, di riformulazioni?
Ascoltando i “veicoli-prodotti” informativi sui media e riflettendo, si percepisce l’esigenza da parte del potere di veicolare il messaggio di far comprendere alle masse come tutti i moti di rivolta, di contestazione e riformulazione della società moderna, storicamente, sono sostanzialmente falliti, assorbiti nel divenire dalle normali trasformazioni, in particolare quella tecnologica che poi ha influenzato e attratto a sé molta della cultura che viviamo.
Moti di rivolta intesi o meglio interpretati quasi sempre in senso di cambiamento radicale, mai come desiderio di modificare pur nella conservazione del modello, cioè senza necessariamente passare per una fase di distruzione e poi di ricostruzione.
Un cambiamento pacifico, che poi non lo è mai anche nella graduazione della asperità del dibattito, che è confitto ma non guerra.
E si sa che la linea di demarcazione non è mai così definita per cui, soprattutto quando i conflitti sociali e culturali non sono confinati nell’ambito di una categoria, tutto diventa più complicato, più acceso, più conflittuale.
Siamo appunto nel presente, nel conflitto tra conservatori e progressisti, che gli eventi storici e l’evoluzione culturale e sociale, hanno spinto verso posizioni più estreme, lasciando uno spazio vuoto non ancora organizzato per chi si trova in posizioni più mediate, meno nette, per chi rivendica il diritto di non essere necessariamente collocato, poiché aderisce nelle questioni, un po' da una parte un po' dall’altra.
Voglio però estendere la considerazione, poiché si potrebbe pensare che il tutto sia legato solo ai diritti, all’idea che ci possa essere una trasformazione desiderata ma sempre basata su un vissuto sostenibile.
E invece il problema è sulla sostenibilità, la necessità è diventata quella del vivere, non solo del pensare e del modo di essere. E così che oggi, pur nel pieno divenire degli eventi, rifletto sulla questione, un’istanza di riflessione che si origina fondamentalmente dalla sensibilità dell’anima, dalla percezione dell’immateriale, dall’osservazione del vissuto. Dalla ragione che cerca possibilità, immagina sviluppi, riflette sulle ipotesi, in definitiva, matura nel mentre.
Se le dinamiche principali del vivere le nostre società non cambiano, è evidente che nuove vie e soluzioni si devono aprire rispetto a ciò che è codificato, proposto e direi, anche imposto.
Iniziamo così questo nostro viaggio, per capire come si potranno evolvere le società, come l’autonomia su più fronti, non solo quella dal basso (perché sui diritti e sulle configurazioni dell’essere le categorie sono trasversali, verticali, non poste su un orizzontale delle possibilità), può procedere per riconfigurare un modo di vivere differente, senza pensare che questo debba significare conflitto o rifiuto completo del mondo attuale.
Vi lascio per il momento poiché lo sviluppo va maturato passo dopo passo, non prima di un’ultima riflessione sul sentimento che provo quando ascolto programmi, vedo servizi, leggo l’informazione.
Vedo molti dei protagonisti letteralmente fare sciate degne dei nostri grandi campioni, quando contestualmente cercano di rispettare le linee editoriali, non scontentare il potere di turno, rispettare pur anche per cortesia i desiderata delle parti amiche, un colpo di qua e di là. Tutto normale, per carità, così si vive, direbbero tutti.
Il problema di cui discutiamo è anche questo, la possibilità di esprimere un pensiero per innestare la riflessione e poi il dibattito per avviare i percorsi di costruzione di quelli che oggi mi sento di chiamare i mondi nuovi, quelli in cui parte della società, gruppi sociali, si organizzano nell’ambito delle regole vigenti, per dar vita a nuovi modi di formazione del valore, individuale e sociale. E si battono, democraticamente, perché regole e processi obsoleti, cambino.
Un mondo sostanzialmente più amico e, lasciatemelo dire, più semplice, più facile, dove praticare la gioia diventa normalità e non premio dopo aver affrontato le oramai ordinarie fatiche di Ercole di cui sono piene le nostre giornate.
Una scelta culturale che rifiuta le società basate sulla paura e sul conflitto, nelle genti e tra le genti.